In questo articolo il Giovane Mecenate parlerà della più grande eruzione mai avvenuta in tempi storici.
Tutti noi abbiamo sentito parlare della famosa eruzione del Vesuvio del 79 d.C. che seppellì Pompei ed Ercolano. E i nostri telegiornali per qualche settimana ci hanno informato dell'eruzione del maestoso Gunung (monte in indonesiano) Agung che si erge come punto più alto dell'isola di Bali, in Indonesia, con i suoi circa 3000 metri di altezza e di cui si teme una potente eruzione con flussi piroclastici (vere e proprie valange di ceneri ardenti che discendono ad altissima velocità lungo i pendii di un vulcano esplosivo).
E chi non ricorda l'eruzione del Pinatubo del 1991, che raffreddò il clima del pianeta di circa 0,5 C° per qualche anno? Si tratta di 3 esempi della forza distruttrice della natura, la quale nel suo scatenarsi non può che essere ammirata e temuta in una mescolanza antitetica di emozioni contrastanti.
L'eruzione del vulcano islandese del 2010, l'Eyjafjöll, paralizzò ad intermittenza i voli aerei in Europa.
Nessuna di queste eruzioni vulcaniche è lontanamente paragonabile a quella che interessò il monte Tambora in Aprile del 1815. Essa è stata ritenuta all'unanimità da storici e vulcanologi come la più catastrofica eruzione della storia dell'uomo dall'entità impareggiabile (finchè nel 2013 un gruppo di ricercatori pare avere individuato con pochi dubbi la fonte di un'eruzione vulcanica di entità simile datata al 1257 circa nel Monte Rinjani, ma se ne parlerà in un articolo successivo).
Tanto che la montagna ne risultò profondamente mutata nella morfologia e nell'altezza: dagli oltre 4.000 metri d'altezza sul livello del mare passò agli attuali 2.850, oltre 1 km d'altezza andò perduto, polverizzato nell'atmosfera, sgretolatosi o sprofondato per generare una caldera.
E tanto che per i successivi anni se ne pagarono le conseguenze, in tutto il mondo.
Adesso il Giovane Mecenate vi parlerà di un fenomeno con pochi precedenti dapprima analizzando le caratteristiche geologiche del vulcano; poi descriverà l'eruzione stessa con le testimonianze del passato e con un'analisi delle stesse; infine si occuperà delle conseguenze globali del fenomeno.
Caratteristiche geo-morfologiche di un gigante
Il monte Tambora è ubicato nell'isola di Sumbawa, in Indonesia, ad est di Lombok e Bali. È un'isola di dimensioni media (circa 15.000 km²) la cui morfologia della porzione più orientale ricorda vagamente la forma di un geco, visibile sotto.
|
Isola di Sumbawa
|
Il punto più alto dell'isola, al centro, è proprio il monte Tambora. Esso è inquadrato nel contesto della "cintura del fuoco" che, come saprete tutti, è l'arco a forma di ferro di cavallo che attraversa l'intero pacifico, descrivendo la zona più attiva del nostro pianeta con una massima concentrazione di vulcani e terremoti. Si trova in una zona di subduzione, ovvero in una zona ove una placca tettonica (quella australiana) scorre verso un'altra placca (quella euro-asiatica).
Per dovere di cronaca, aggiungo che questa caratteristica è comune alla maggior parte dei vulcani indonesiani, che dunque sono tra i più esplosivi in assoluto: è qui che si trova il Krakatoa ed è qui che si trova la super-caldera Toba.
Il Tambora è un immensa montagna la cui caldera in seguito all'eruzione è un'ampia depressione di ben 6-7 km di diametro e 1.250 m di profondità. Sono numeri immani, reduci di un'eruzione vulcanica la cui intensità non è facilmente testimoniabile dall'uomo. Giù avete un'immagine dell'aspetto del monte oggi.
|
Il Tambora come appare oggi
|
La sua formazione risale a circa 57.000 anni fa. Il diametro dell'intero complesso risulta di ben 60 km. Prima dell'eruzione del 1815, il vulcano è stato attivo per almeno 3 volte, ma la magnitudine delle eruzioni non è nota. Tuttavia è possibile che non siano state fortemente esplosive come quella del 1815. La parola-chiave è morfologia del vulcano
Viene formalmente definito stratovulcano ma, in realtà, a guardare bene il corpo in 3D, i pendii non risultano ripidi, ma allo stesso tempo neppure dolci come quelli dei vulcani a scudo (Mauna Kea, Mauna Loa).
Andiamo a guardare degli screenshot che ho ottenuto da Google Earth Pro.
|
Immagine Tambora-1
|
I pendii del vulcano non esibiscono forte pendenza. Dunque, più che stratovulcano (o vulcano a scudo), questo vulcano dovrebbe essere solo simile ad un vulcano a scudo, una categoria intermedia tra i classici vulcani a cono e a scudo. Se ne deduce quindi (ma, come detto, non è possibile stabilirlo) che le precedenti eruzioni dovevano essere di natura effusiva e solo parzialmente esplosiva. Poi qualcosa dovette cambiare nel magma del vulcano che, divenendo molto più viscoso, preparò la devastante eruzione del 1815
Ma soprattutto, la sua forma non pare essere perfettamente conica, ma ovale, allungata in direzione NE.
|
La linea rossa rappresenta l'allungamento NE-1
|
|
La linea rossa rappresenta l'allungamento NE-2
|
Ne risulta così una forma piuttosto irregolare. Non sono stati rinvenuti ritratti del Tambora prima dell'eruzione del 1815, nella sua forma originaria. In genere si ritiene che la sua forma primordiale doveva essere quella dei classici stratovulcani, dalla forma a cono simmetrico (come il monte Fuji) che si elevava fino a 4.000-4.300 metri d'altezza, ma è mio parere che è una deduzione morfologica della montagna piuttosto sbrigativa e semplicistica che non tiene conto delle irregolarità dell'edificio che abbiamo visto.
Uno studio recente, risalente al 2016, cerca di ricostruirne la morfologia anche in considerazione dell'allungamento in direzione NE:
http://meetingorganizer.copernicus.org/EGU2016/EGU2016-8916.pdf
Lo studio analizza i fianchi del vulcano e suppone una forma complessa precedente all'eruzione del 1815 che lasciò la caldera odierna: un vulcano con 2 vette (i resti di una delle quali costituiscono presumibilmente l'allungamento ellittico NE) e/o una piccola caldera. Anche l'altezza viene revisionata: tra i 3.700 m e i 3.900 m circa.
Allo stato attuale prevale comunque la morfologia stratovulcanica che forse è implicitamente confermata dal Rajah di Sangar, che descrive, in occasione dell'eruzione dle 1815, 3 colonne di fuoco che si innalzarono da un solo cratere e in prossimità di una sola cima, come vedremo.
Di seguito, l'ipotesi della morfologia stratovulcanica.
|
Tambora prima dell'eruzione del 1815
|
|
Tambora come appare oggi
|
Cronache dell'eruzione
Nella camera magmatica del vulcano, la roccia fusa al suo interno era accompagnata da un precario equilibrio di temperatura e pressione. Ad un certo punto, il raffreddamento della camera ruppe il suddetto equilibrio e i soluti della roccia, non più miscibili (exsoluzione) finirono per generare una pressione enorme (oltre 5000 atmosfere) che andavano necessariamente sfogate in un'eruzione esplosiva. La camera magmatica divenne come il tappo di una bottiglia di spumante e l'exsoluzione come la pressione che si genera quando viene sbattuta verso l'alto e verso il basso. Una volta alleggerito il tappo, la pressione riesce a farlo saltare in aria, e così avvenne col Tambora (in fondo con ogni vulcano esplosivo).
Già nel 1812 vennero testimoniate scosse e dal cratere si innalzò una colonna di cenere oscura. Ma poi il vulcano tornò dormiente. Nessuno poteva aspettarsi che da lì a 3 anni si sarebbe scatenato un inferno di fuoco ed oscurità.
Racconteremo l'evento con le testimonianze di chi lo ha vissuto coi propri occhi. Poi lo cercheremo di spiegare scientificamente.
Fondamentali le memorie di Sir Thomas Raffles, all'epoca luogotenente dell'Impero Britannico in Indonesia, nonchè fondatore di Singapore nel 1819. Egli ordinò di raccogliere le testimonianze di chi vide l'immane eruzione vulcanica coi propri occhi.
La traduzioni sono mie, dal seguente link:
https://archive.org/stream/memoiroflifepubl00raff#page/n7/mode/2up
Egli rapporta:
"Le prime esplosioni furono udite su quest'isola (Sumbawa) nella sera del 5 Aprile, furono notate in ogni quartiere, e continuarono ad intervalli fino al giorno seguente. Il suono fu, in un primo momento, quasi unanimemente attribuito a cannone distante, cosicchè un distacco di truppe fu mosso da Giacarta, in previsione che un accampamento militare venne attaccato, e lungo le coste le navi furono spiegate in 2 casi in cerca di una presunta nave in pericolo.
Il mattino seguente, comunque, una leggera caduta di cenere rimosse ogni dubbio, ed è degno di nota che, mentre l'eruzione continuava, il suono appariva più forte [...]
Dal 6 Aprile il sole divenne oscurato: si ebbe l'impressione che fosse avvolto da nebbia, il tempo fu afoso [...].
Questo durò diversi giorni, le esplosioni continuarono occasionalmente, ma meno violentemente e meno frequenti di prima. Anche la ceenere vulcanica iniziò a cadere, ma in piccole quantità; e così sottilmente da essere percepita difficilmente nei distretti occidentali" (Memoir of the life and public services of Sir Thomas Stamford Raffles, pp. 240-241).
Queste sono le descrizioni di un vulcano che si sta solo schiarendo la gola.
La fase parossistica avverrà nella sera del 10 Aprile.
La descrizione di questa è del Rajah di Sangar: "
alle 10 di sera circa, tre distinte colonne di fuoco si sprigionarono, vicino alla cima del Monte Tambora, ognuna di loro apparentemente entro il limite del cratere; e dopo essere ascese separatamente ad una grande altezza, le loro sommità si unirono nell'aria in modo molto confuso. In breve tempo, l'intera montagna vicino Sangar apparve come un corpo di fuoco liquido che si estendeva in ogni direzione. Il fuoco e le colonne di fuoco continuarono a scatenarsi con furia ininterrotta; finchè l'oscurità causata dalla quantità di materia in caduta le oscurò alle 8 circa. Le pietre, in questa fase, caddero molto spesse a Sangar, alcune di loro grandi come due pugni, ma generalmente non più grandi di noci. Tra le 9 e le 10 circa , la cenere iniziò a cadere, e presto ne seguì una violenta tempesta, che abbattè ogni casa vicino il villaggio di Sangar [...].
Nella parte di Sangar adiacente al Tambora, i suoi effetti furono molto più violenti, strappando dalle radici i più grandi alberi e trasportandoli in aria, insieme a uomini, cavalli, bestiame, e qualsiasi cosa che entrò nella sua influenza (questo testimonierà l'immenso numero di alberi galleggianti visti in mare). Il livello del mare si innalzo di quasi dodici piedi di quanto non ebbe mai fatto prima [...].
La tempesta durò circa un'ora. Non furono udite esplosioni fino a quando essa cessò, alle 11 circa. Dalla mezzanotte fino alla sera dell'11 Aprile, continuarono senza interruzione, dopodichè la loro violenza si ridusse, e furono udite solo ad intervalli, ma le esplosioni non cessarono fino al 15 Luglio" (Ivi, pp. 249-250).
Analisi scientifica del resoconto ed entità dell'evento
Le tre colonne di fuoco, con tutta probabilità, non erano tre colonne di lava, bensì tre colonne di cenere, tipiche delle eruzioni esplosive, che vennero innalzate con estrema veemenza dalla prima esplosione. Allo stesso modo, non pare realistico pensare che la montagna divenne in poco tempo un "corpo di fuoco liquido" a causa di letterali, enormi flussi di lava, ma a causa di flussi piroclastici.
Ma la prima ipotesi non è da escludersi del tutto poichè nella descrizione la montagna diventa "fuoco liquido" in breve tempo, e noi sappiamo che i flussi piroclastici non si generano subito, ma in una fase successiva, quando la cenere si addensa, il suo peso è maggiore di quello dell'aria e cade per gravità.
Il "modo molto confuso" in cui le colonne si uniscono sembra essere la formazione di massicce nubi di cenere vulcaniche nell'alta atmosfera.
Per quanto riguarda la tempesta che sradica alberi e case, è verosimile pensare agli effetti delle nubi ardenti stesse; pertanto la descrizione di alberi e animali che vengono trasportati in aria sembra essere piuttosto colorita e fantasiosa; le nubi ardenti non trasportano, ma inceneriscono per via delle alte temperature, superiori abbondantemente ai 100 C°. Ma non è da escludersi un fenomeno tempestoso simultaneo all'eruzione, oppure delle tremende onde d'urto (le esplosioni vennero udite fino a 2.600 km di distanza), o ancora a spostamenti d'aria generati dal riscaldamento dell'aria limitrofe al vulcano che, meno densa dell'aria fredda, si sollevò, e quest'ultima colmò violentemente il vuoto.
L'aumento del livello del mare di 4 metri circa (dodici piedi) dovette essere stato provocato dal giungere dei flussi piroclastici in mare e/o da esplosioni freato-magmatiche (dovute all'interazione tra magma ed acqua, lo stesso fenomeno che produsse l'esplosione finale del Krakatoa quasi un secolo dopo).
Difficile identificare la causa per cui, secondo la descrizione, non si udirono esplosioni fino alla fine della tempesta, alle 11 circa. È ovvio che le esplosioni vulcaniche iniziarono sin da subito.
Comunque un fenomeno dello stesso tipo accadde in occasione dell'eruzione del Sant'Elena nel 1980: i testimoni non udirono alcun boato, mentre i suoni vennero percepiti a decine di chilometri di distanza. L'assenza di suoni potrebbe essere spiegata da vuoti d'aria dovuti a spostamenti di masse d'aria, per cui il suono non si diffonde.
L'eruzione vulcanica raggiunse il 7° grado dell'indice di esplosività vulcanica (VEI-7).
Venne emessa la smisurata quantità di circa 150 km³ di materiale.
La montagna passò dai circa 4.000-4.300 metri d'altezza sul livello del mare agli attuali 2.850 metri; ben oltre 1.000 metri di edificio vulcanico venne polverizzato, sgretolato o sprofondato nelle viscere della terra, generando la caldera che oggi possiamo contemplare. La colonna eruttiva superò abbondantemente i 43 km d'altezza e l'Indonesia piombò nell'oscurità totale per più giorni; tsunami si abbatterono lungo le coste e forti boati terrorizzarono esseri umani a centinaia di chilometri di distanza, a Makassar (380 km circa), a Ternate (1.400 km circa), a Giacarta, allora Batavia (1200 km circa).
Date le enormi distanze in cui vennero uditi i boati, si può arguire che le esplosioni abbiano avuto la potenza di decine di megatoni, molto superiore a quella degli ordigni nucleari più potenti ai nostri giorni.
A
nche dopo 30 anni dall'eruzione Sumbawa continuava ad essere ricoperta di cenere sottile.
Dei 140.000 abitanti dell'isola prima dell'eruzione ne sopravvivevano solo 12.000, per pura fortuna.
Ma le conseguenze non furono solo locali
1816: l'anno senza estate, e anni successivi
I 150 km³ di ceneri ed aerosol emessi durante l'eruzione schermarono per i mesi successivi i cieli del pianeta. Complice fu anche la zona equatoriale di emissione, sottoposta a forti venti che facilitarono la diffusione del materiale vulcanico nell'atmosfera. Nell'arco di mesi, si generò una cappa di polveri che schermarono la luce solare. Ne pagò le conseguenze l'anno successivo all'eruzione, che venne ricordato come "anno senza estate".
Nel 1816 si registrò un forte calo delle temperature globali; in Europa, che usciva per giunta dalle guerre napoleoniche devastata, il clima estivo fu insolitamente freddo; vi fu penuria di cibo a causa dei mancati raccolti, carestie. Morte del bestiame da allevamento.
A New York vennero registrate delle gelate, tempeste di neve in Canada nel mese di Giugno.
Ne seguirono saccheggi e disordini in vaste aree d'Europa.
Un inventore tedesco, per sopperire all'ausilio dei cavalli in seguito alla morte del bestiame, Karl Drais, inventò l'antenato della moderna bicicletta, il velocipede.
Tramonti spettacolari, dovuti all'alta concentrazione di polveri, ispirarono William Turner a dipingere i suoi tramonti "infuocati"
|
Turner, Chichester Canal, 1828
|
Non pare esserci alcun nesso tra la sconfitta di Napoleone e le conseguenze globali dell'eruzione del Tambora, come qualcuno ha sollevato. La campagna di Russia avvenne 3 anni prima e la battaglia di Waterloo avvenne a Giugno, 2 mesi dopo l'eruzione, troppo presto perchè i suoi effetti divenissero davvero globali.
Mentre non è azzardato pensare che il clima compromesso nel 1816, e i conseguenti disordini furono causa di un malcontento che porterà ai moti rivoluzionari 1820-1821; se si considera la portata di quell'ondata rivoluzionaria, e la successiva del 1848-1849 (primavera dei popoli) possiamo a ragione definirci "figli del vulcano".